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Il Branco

Ci insegnano fin da piccoli che stare con gli altri è un segno di forza. Che l’appartenenza è sicurezza, che non essere soli è già salvezza. E così impariamo ad adattarci. A sorridere quando non vorremmo. A dire sì quando tutto in noi urla no. A restare, anche quando la nostra verità ci implora di andare. Ma c’è un momento, silenzioso, sottile, in cui senti che stai pagando un prezzo troppo alto. Che per essere parte, ti sei messo da parte. Che per non perdere l’altro, hai cominciato a perdere te stesso. E lì non si tratta di essere forti. Si tratta di essere veri. Di trovare il coraggio di stare accanto, ma non dentro. Di scegliere la connessione, non la dipendenza. Di ricordare che non c’è amore, amicizia o appartenenza sana che ti chieda di smettere di essere chi sei. Camminare con gli altri è bellissimo. Ma solo se non perdi il passo con la tua anima.

Team Vincenti

In un mondo che premia la prestazione individuale, abbiamo dimenticato quanto sia potente creare insieme. Condividere non è solo mettere in comune idee o obiettivi. È mettere in gioco sé stessi. È lasciarsi contaminare, vedere il mondo anche con gli occhi dell’altro, accettare che il proprio punto di vista non basta. Quando un team smette di “funzionare” come somma di persone, e inizia a sentirsi squadra, succede qualcosa che non si può pianificare a tavolino: nasce il senso. Quel senso profondo che tiene unito il gruppo anche nei momenti duri. Quel senso che trasforma il lavoro in visione. Condividere non è solo collaborare. È costruire qualcosa che da soli non potremmo nemmeno immaginare. Perché da soli si resiste. Ma è solo insieme che si crea qualcosa che ci supera. Non è solo andare lontano. È andare più in profondità. Dove le idee diventano visione e le persone, un futuro condiviso.

No Al Bullismo

La violenza non è mai solo un atto fisico. È una crepa che si apre dentro chi la subisce … e spesso anche dentro chi la infligge. Ma non può, non deve essere tollerata. Mai. Inizia nei silenzi non ascoltati, nelle emozioni negate, nelle relazioni lasciate a galleggiare in superficie. Inizia quando smettiamo di vedere davvero chi abbiamo accanto. Quando la solitudine si indurisce. Quando la rabbia diventa un linguaggio. Non è solo la vittima a portare il peso. È anche chi ha visto e ha taciuto. È chi ha sottovalutato, chi ha deriso, chi ha voltato lo sguardo. E non è retorica: è responsabilità collettiva. Condannare la violenza è necessario. Ma non basta. Serve tornare a educare alla presenza, alla parola, alla fragilità. Serve dire ai ragazzi che si può essere visti senza dover gridare con i pugni. Che si può chiedere aiuto senza vergogna. Che si può fermare una catena prima di diventarne l’ennesimo anello. Serve anche dire agli adulti che non sempre sapranno cosa dire, ma devono esserci lo stesso. Perché l’assenza, l’indifferenza, la distanza… sono a volte le prime violenze. Ogni atto violento lascia cicatrici invisibili. Ma può anche diventare una chiamata al cambiamento. Se abbiamo il coraggio di restare. Di ascoltare. Di educare con presenza, non con paura. Perché ogni violenza è un bivio. E ogni bivio, se ascoltato a fondo, può ancora diventare strada.

Il Vuoto

Ci sono spazi dentro di noi che sembrano deserti. Li evitiamo, li giudichiamo, li chiamiamo solitudine, fallimento, assenza. Ma non sono vuoti. Sono pieni di tutto ciò che non abbiamo avuto il coraggio di sentire. La rabbia trattenuta. Il dolore non accolto. Il desiderio che abbiamo messo a tacere per farci andare bene quello che avevamo. Quel silenzio che fa paura… è solo la soglia. Se resti, se non scappi, se impari ad ascoltarlo davvero, troverai che dentro quel “vuoto” c’è una voce. Ed è la tua. Non riempire subito. Non distrarti. Stai. Perché è proprio lì, in quello spazio che fa male al silenzio, che si nasconde ciò che non abbiamo mai avuto il coraggio di guardare davvero. Una porta socchiusa tra ciò che eri costretto ad essere e ciò che, in fondo, hai sempre saputo di essere. E per varcarla non serve coraggio esterno. Serve solo verità. Quella che ti fa tremare, ma che l’anima non smette mai di sussurrare.

Non hai fallito tu

A volte ti sei sentito fallire. Perché le cose non cambiavano. Perché nessuno ti seguiva. Perché, dopo tutto l’impegno, sei stato tu il primo ad andartene. Ma andarsene non è una resa. È lucidità. È sapere che continuare a lottare per qualcosa che non cresce non ti rende forte, ti svuota. Andarsene, quando il passo è troppo diverso, quando il rispetto si spezza, quando il silenzio diventa più rumoroso della presenza, è un atto di coraggio. Hai camminato dove gli altri non erano pronti. Hai creduto in un cambiamento che non tutti hanno saputo sostenere. E no, non hai fallito. Hai solo scelto di non spegnerti per rimanere. E se ti chiedi se sia servito a qualcosa, ricorda questo: nulla di ciò che è stato dato con il cuore va perduto. Ogni gesto sincero, ogni parola che ha portato luce, resta. E anche se ora non lo vedi, prima o poi, da qualche parte, fiorirà. Perché riconoscere quando qualcosa è finito è un atto d’onestà. Scegliere di non restare, è un atto d’amore.

Io Esisto

Ci sono momenti nella vita in cui sei parte del branco. Ti muovi con gli altri, condividi un ritmo, un sentire, un linguaggio che ti fa sentire accolta. Hai un posto, una direzione. E ti sembra che basti. Fino a quando qualcosa, dentro, comincia a chiamarti altrove.
Arriva un tempo diverso. Un tempo in cui ti accorgi che quei passi che fai insieme agli altri non sono più i tuoi. E non è smarrimento. È istinto. È verità che sale. Ed è lì che il lupo in te si sveglia.
Il lupo non è sempre solo. Ma sa quando è il momento di lasciare. Non per fuggire, ma per ritrovare la coerenza. Per fondare qualcosa di nuovo. Per proteggere ciò che ancora non ha nome, ma già brucia dentro.
Ha coraggio. Perché serve coraggio a staccarsi da ciò che è noto, anche se non ti somiglia più. Serve fedeltà a te stessa per restare intera, anche quando resti da sola.
Il lupo non confonde la solitudine con l’abbandono. Cammina in silenzio, ma sente tutto. Non fa rumore, ma lascia impronte. Non rincorre, ma riconosce.
Non sceglie la massa. Sceglie ciò che vibra alla sua stessa frequenza. È leale, ma non cieco. Valuta, ascolta, decide. E quando serve, ricomincia.
Non tutti capiranno il tuo momento di dispersione. Ti crederanno distante, strana, scomoda. Ma chi ha l’anima da lupo ti vedrà. E forse, da qualche parte, starà già ululando nella tua stessa direzione.

Il coraggio di andare

Ci sono parole che arrivano sempre troppo tardi. Giustificazioni che sembrano empatia, ma servono solo a rimandare una fine inevitabile. Scuse che ti chiedono di restare, ma non ti danno niente su cui poter costruire. Imparare a dire basta non è durezza. È rispetto. Per te. Per ciò che senti. Per il tempo che hai. Non sei tenutə a restare dove non sei più interə. Non devi adattarti a un affetto che esiste solo quando fa comodo. Meriti coerenza, presenza, parole che corrispondano ai gesti. A volte, il vero coraggio non è salvare la relazione. È salvarti da una relazione che non ti salva più.

Ascoltati

Ci sono giorni in cui i pensieri sembrano tutto: ti parlano, ti confondono, ti convincono che sei solo quello che ti ripeti da anni. Ma non è così. I pensieri sono spesso la voce delle abitudini, delle paure, di ciò che gli altri si aspettano da te. Sono forti, insistenti… ma non sempre veri. La verità abita più in profondità. Nelle sensazioni che tornano quando il mondo tace. Nelle intuizioni che non puoi spiegare ma che senti giuste. Nelle emozioni che non chiedono permesso, ma ti ricordano chi sei. Tu non sei ciò che pensi. Tu sei ciò che senti quando smetti di mentirti. La mente confonde. L’anima riconosce. E lì, in quel silenzio, comincia il tuo ritorno a casa.

Perdere tutto

A volte restano solo macerie. Un amore che finisce. Una persona che se ne va. Un sogno che crolla. Un lavoro perduto. Una casa spazzata via. A volte tutto insieme. In quei momenti, è inutile fingere forza. Si cade. Si piange. Si cerca il senso… e spesso non si trova. Perché alcune fratture non si spiegano, si attraversano. Si risorge solo dopo aver toccato le macerie con le mani. Dopo aver detto addio a ciò che non tornerà. Non subito. Non intatti. Ma veri. E lì, in mezzo alla polvere, tra le crepe, non ritrovi chi eri. Scopri chi sei diventato. Più stanco, forse. Più silenzioso. Ma anche più profondo. Più vivo. Non si rinasce leggeri. Si rinasce segnati, diversi, con cicatrici che non chiedono di essere nascoste. Ma si rinasce. Perché restare lì, tra le rovine, fa più male che provare a ricostruirsi. Ricostruire non è un atto eroico. È un atto silenzioso. Non arriva con fanfare né con riconoscimenti. È quel momento in cui ti alzi, anche se vorresti restare a terra. Quel gesto semplice in cui scegli di lavarti il viso, uscire, rispondere al mondo, anche solo con un respiro. Ricostruire è dignità. È dire al dolore: “Ti vedo. Ti sento. Ma non ti lascio decidere chi sono.” È quando scegli di rialzare qualcosa, non perché non hai perso nulla, ma perché ciò che hai perso non cancellerà ciò che sei diventata. E questo basta, per chiamarla forza.

Video come spazi di verità

Faccio video perché ci sono cose che scritte non bastano.
Ci sono temi che hanno bisogno di una voce, di un ritmo, di uno sguardo che accompagni il senso.
Parlo di quello che vivo, di quello che vedo accadere negli altri e dentro di me.
Parlo per chi non ha ancora trovato le parole, ma sente di aver bisogno di ascoltarle da qualcun altro, almeno una volta.

Non lo faccio per insegnare, né per spiegare.
Lo faccio per creare uno spazio in cui chi guarda possa sentirsi accolto, riconosciuto, a volte anche smosso.
Un video non è solo un contenuto: è un incontro.
Con una voce, un’idea, un frammento di verità che forse assomiglia alla tua.

Parlo di cambiamento, di relazioni, di fatica, di scelte, di coraggio, perché sono cose che toccano tutti.
Ma non lo faccio da un piedistallo. Lo faccio da lì, dal bordo sottile tra ciò che so e ciò che sto ancora imparando. Perché comunicare, per me, non è parlare. È offrire una possibilità: quella di riconoscersi.
Anche solo per un minuto. Anche solo in un frammento. E se quel frammento resta, allora il video ha già fatto il suo lavoro.
Ed io, il mio.

Antonella Sirica

Il senso tra le parole


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